Aprile 19, 2022
La difficoltà dell’imprenditore di ammettere la crisi dell’azienda

Il nuovo codice della crisi di impresa è stato introdotto con il d. lgs. n. 14/2019, quindi prima dell’era Covid 19. 

Con l’entrata in vigore della nuova legge cambia completamente l’approccio alla crisi: l’obiettivo è dare la possibilità di anticipare, attraverso il monitoraggio di alcuni indicatori, l’emersione dello stato di crisi, piuttosto che accettarlo o conclamarlo successivamente, quando si sia irrimediabilmente aggravato. 

Dall’inizio della pandemia parecchie imprese, soprattutto di piccole dimensioni, hanno dovuto “abbassare le saracinesche”, stante anche la manifesta incapacità degli imprenditori di riconoscere i segnali dello stato di pre-crisi dell’impresa (e porvi rimedio). 

Il motivo è semplice: il ritardo nel percepire i segnali di crisi può condurre a situazioni irreversibili di decozione. In altri termini, la nuova riforma vuole anticipare l’emersione della crisi rispetto alle procedure concorsuali (fallimento in primis) per permettere una diagnosi precoce delle situazioni di difficoltà e salvaguardare la capacità imprenditoriale.

Con l’emanazione del D.lgs. 26 ottobre 2020, n. 147, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 276 del 5 novembre 2020, il legislatore ha introdotto importanti disposizioni integrative al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, destinate ad essere inserite nel codice stesso con il decreto correttivo in fase di approvazione, appena varato dal Consiglio dei Ministri, che adeguerà la normativa – ancora non vigente – alla Direttiva UE c.d. Insolvency, 2019/1023, apportando ulteriori significative modifiche.

Il decreto correttivo si concentra innanzitutto sulla nozione di crisi contenuta nell’art. 2 del D.lgs. n. 14/2019, che viene difatti specificata dal legislatore in modo più preciso, attraverso il ricorso alle espressioni utilizzate dalla scienza aziendalistica.

In primis muta la definizione del concetto di crisi, che viene descritta come lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza, reso manifesto dalla inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi 12 mesi, così come previsto dal novellato art. 2 del D.lgs. n. 14/2019.

Nella nuova definizione di “crisi” vengono dunque considerate situazioni di squilibrio economico-finanziario e patrimoniale che si manifestano in una prospettiva temporale più ampia rispetto a quella inizialmente prevista dalla disciplina degli indicatori della crisi originariamente dettata dal Codice, che sarà abrogata con lo schema di decreto legislativo.

Questa definizione, più ampia, è stata ritenuta maggiormente idonea ad intercettare le situazioni di pre-crisi, in una prospettiva maggiormente prudenziale, chiamando l’imprenditore ad attivarsi in una fase anticipata rispetto a quella che sarebbe stata intercettata con le originarie procedure di allerta.

L’art. 2 dello schema di decreto legislativo ha apportato modifiche alla Parte Prima, Titolo I, Capo II, Sez. I, del D.lgs. n. 14/2019, con l’integrale sostituzione del testo originario dell’art. 3, con un nuovo testo che disciplina l’adeguatezza degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa.

I commi 1 e 2 riproducono la precedente formulazione e richiedono all’imprenditore individuale e collettivo l’adozione di misure idonee finalizzate non soltanto a rilevare, ma anche a reagire tempestivamente allo stato di crisi.

L’imprenditore collettivo, più in particolare, dovrà a tal fine “istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell’art. 2086 c.c., ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative”.

Il comma 3 dello stesso articolo descrive più nel dettaglio quali dovranno essere le caratteristiche delle misure e degli assetti organizzativi di cui ai primi due commi, che dovranno consentire di:

  • rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore;
  • verificare la non sostenibilità dei debiti e l’assenza di prospettive di continuità aziendale per i 12 mesi successivi ed i segnali di allarme di cui al successivo comma 4;
  • ricavare le informazioni necessarie a seguire la lista di controllo particolareggiata e ad effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui all’art. 13.

L’art. 3, comma 4, indica quali saranno i principali segnali di allarme, vale a dire:

  • l’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno 30 giorni pari a oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;
  • l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno 90 giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;
  • l’esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di 60 giorni o che abbiano superato da almeno 60 giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma, purché rappresentino complessivamente il 5% del totale delle esposizioni;
  • l’esistenza di una o più esposizioni debitorie previste dall’art. 25 novies, comma 1 (ritardi per versamenti di contributi previdenziali; debiti per premi assicurativi; debiti iva; crediti affidati per la riscossione).

Il disegno di legge dunque non solo chiarisce la funzione delle misure e degli assetti organizzativi, ma espressamente esplicita gli aspetti di criticità maggiormente significativi e rivelatori di una possibile situazione di difficoltà in cui potrà venirsi a trovare l’impresa.

Tra i segnali di allarme sopra elencati rivestono fondamentale importanza quelli elencati dall’ art. 25 novies, comma 1, questi infatti sono segnalati dai cosiddetti “Creditori Pubblici Qualificati” vale a dire INPS, INAIL, Agenzia delle Entrate e l’Agente della Riscossione.

Per quanto concerne l’INPS, la segnalazione scatta nel caso di ritardo superiore a 90 giorni nel versamento di contributi previdenziali di ammontare superiore:

  • al 30% rispetto a quelli dell’anno precedente e all’importo di € 15.000 per le imprese con lavoratori subordinati e parasubordinati;
  • all’importo di € 5,000 per le imprese senza lavoratori subordinati o parasubordinati.

L’INAIL effettua invece la segnalazione nel caso sussistano debiti per premi assicurativi scaduti da oltre 90 giorni e non versati per un importo superiore ad € 5.000.

Per l’Agenzia delle Entrate è sufficiente la presenza di un debito scaduto e non versato relativo all’IVA per un importo pari ad € 5.000, mentre per l’Agente della Riscossione è necessaria l’esistenza di crediti affidati per la riscossione, auto-dichiarati o definitivamente accertati e scaduti da oltre 90 giorni purché siano:

  • superiori ad € 100.000 per le imprese individuali;
  • superiori ad € 200.000 per le società;
  • superiori ad € 500.000 per le altre società.

La norma dispone inoltre che l’obbligo di segnalazione inizierà a decorrere in relazione ai:

  • debiti accertati a partire dal 01.01.2022 per quanto riguarda l’INPS e l’INAIL;
  • debiti risultanti dalle comunicazioni periodiche relative al primo trimestre 2022 per l’Agenzia delle Entrate;
  • carichi affidati per la riscossione a decorrere dal 01.07.2022 per l’Agente della Riscossione. 

Con il DL 118/2021, convertito in legge n. 147/2021, si introduce un nuovo percorso dedicato proprio alle imprese in stato di crisi reversibile, la composizione negoziata, il cui accesso – novità assoluta – è rimesso all’iniziativa volontaria dell’imprenditore, cui compete dunque l’onere della rilevazione tempestiva delle situazioni di allerta della crisi. 

Cioè, è lo stesso imprenditore che si dovrebbe sottoporre volontariamente ad una auto-diagnosi (attraverso un link di collegamento ad una apposita piattaforma presente sui siti delle Camere di Commercio) per verificare se quei segnali, che provengono dalla sua azienda, che ben conosce, rappresentino effettivamente degli alert sostanziali dello stato di salute dell’impresa.

Una novità che vuole risolvere innanzitutto il problema della proverbiale ritrosia del piccolo imprenditore nostrano a riconoscere una inefficienza della sua azienda. È come se l’imprenditore avesse un blocco psicologico, soprattutto determinato dai tanti sacrifici fatti, ad accettare la formalizzazione della crisi della sua impresa. “Sento che la mia azienda non va bene, ma non voglio che questo mi venga detto da un soggetto esterno”, è il pensiero recondito della maggior parte dei piccoli imprenditori. “E, quindi, siccome in questo caso, posso capirlo da solo senza farlo sapere a terzi, allora mi sottopongo al test”, potrebbe essere la giusta reazione alla inibizione mentale.

Se però l’auto-diagnosi può risolvere, da un lato, il problema del blocco psicologico in capo all’imprenditore, dall’altro lato non sembra poter garantire il superamento di un altro ostacolo: la capacità dell’imprenditore di compiere una analisi veritiera dello stato di pre-crisi.

Per quanto finora esposto, appare chiaro che le crisi e i suoi segnali possono essere identificati solo con una lettura complessiva di tutti gli elementi reali – a disposizione dell’imprenditore avveduto e ragionevole, che si adopera a far emergere la crisi – nel suo esclusivo interesse e per la “salute” della sua realtà imprenditoriale.

Tale lettura, potrà davvero essere compiuta, con onestà e competenza, senza subire il condizionamento dei propri desideri, dall’imprenditore in prima persona?

a cura del dr. Ivan Scappini

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