Il 15 luglio scorso, dopo i noti e reiterati differimenti, che hanno determinato una vacatio legis di tre anni e mezzo, la riforma del diritto concorsuale è “finalmente” entrata in vigore. Il presente contributo ha la finalità di attenzionarne l’anima negoziale/privatistica, mettendo in luce il deciso cambio di passo e di prospettiva del sistema concorsuale; cambiamento da taluni definito epocale.
Certamente, dopo innumerevoli interventi, parziali e frammentari, vi è stata, con l’emanazione del CCII, una riorganizzazione sistematica del diritto della crisi, che oggi troviamo ridefinito in un unico codice – un testo unico – che ha l’ambizione di coordinare tutti i fenomeni di crisi – insolvenza, sovraindebitamento anche per soggetti “altri” rispetto all’imprenditore.
Un percorso principiato nel 2015 con i lavori della Commissione Rordorf, che approdarono nel testo della legge delega 155/2017, la cui attuazione, non senza modifiche, trovava, appunto, forma nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d. lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), la cui entrata in vigore veniva differita di ben 18 mesi, soprattutto, per i necessari adattamenti imposti dal sistema della cd allerta interna ed esterna, nonché, per rendere operativi i cd Organismi di composizione della Crisi (OCRI) ed il sistema di composizione assistita della crisi (come delineato agli artt. 16 e ss DLVO 12 gennaio 2019 n. 14).
Come noto, in questo lasso di tempo due eventi significativi – la pandemia e l’emanazione della cd Direttiva Insolvency – determinavano la necessità di un adattamento del CCII ancora in stand-by e, pertanto, un ulteriore differimento della sua entrata in vigore. Al riguardo c’è da notare che evento “imprevedibile” può essere considerato la diffusione e, certamente, la ricaduta nefasta nel sistema economico, del COVID 19; diversamente, era già ben nota dal 2016 la proposta di direttiva; i lavori di preparazione della Direttiva erano pubblici, tanto che da novembre 2016 la Commissione europea ne aveva pubblicato il testo che anticipava tutti i temi poi confluiti nel testo definitivo.
Con una serie di provvedimenti (d.l. n. 41 del 2021, modificato dalla legge di conversione n. 69/2021) il legislatore ha perciò rinviato, via via, l’entrata in vigore del CCII, ma – soprattutto – differito (con d.l. n. 118/2021, mod e conv. in legge 147/2021), ad una data tanto remota (31 dicembre 2023) da preconizzarne la totale revisione, gli istituti dell’allerta esterna (ovvero dell’onere posto a carico di alcuni creditori pubblici qualificati di segnalare il ritardo significativo di un’impresa nell’assolvimento dei propri obblighi Tributari/Fiscali/Previdenziali) e della procedura di Composizione Assistita della crisi affidata all’OCRI, sostituendo quest’ultima con un nuovo e, per molti aspetti, rivoluzionario Percorso, quello della Composizione Negoziata per la soluzione della crisi, affidata ad un Esperto Facilitatore.
Sarebbe, però, alquanto semplicistico rapportare a due avvenimenti esterni la definitiva conformazione di una riforma a più riprese rinviata, interpolata, modificata.
È noto che le necessità di adeguamento alla Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2019/1023 hanno attinto esemplificativamente da:
- i piani di ristrutturazione preventiva delle imprese in crisi;
- gli strumenti di early warning, idonei a rilevare tempestivamente i sintomi della crisi (in continuità con la Racc. UE 2014/135);
- le forme di esdebitazione attraverso cui consentire una seconda chance a chi sia incorso in una situazione d’insolvenza.
La Direttiva è stata adottata per uniformare, in seno agli Stati dell’Unione Europea, la disciplina delle ristrutturazioni che consentano e promuovano la continuità, a fronte di un piano economicamente sostenibile.
Il CCII, nella sua ultima stesura attualmente vigente, a ben vedere, va oltre: è sistematicamente conformato come un superamento del sistema dirigistico autoritativo e approda ad una significativa degiurisdizionalizzazione nella gestione della crisi/insolvenza, inclinazione questa mutuata per effetto, proprio, delle recenti modifiche normative, non rinvenibile sua originaria conformazione (quella licenziata con d.lgs. n. 14/2019).
Per rendere immediatamente percepibile tale cambio di passo, partiamo dalla presa d’atto che il diritto concorsuale interno trovava, sino allo scorso 15 luglio, la propria regolamentazione nel R.D. del 1942 (n.267), interpolato da innumerevoli incursioni normative di natura episodica, di stampo emergenziale. Regio Decreto strutturato per espungere il fallito, considerato colpevole della sua decozione. Una normazione dai tratti dirigistici e pubblicistici, che non conosceva neanche il concetto di crisi ma solo di insolvenza, men che meno, quindi, la gestione stragiudiziale della probabile crisi/insolvenza reversibile.
Tale approccio autoritativo/punitivo/dirigista vedeva una prima e significativa frattura con la stagione riformativa del 2005/2007 (in particolare quella attuata con dlgs n. 2/2006 d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con la l. 14 maggio 2005, n. 80; d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5; d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169) che realizzava sì una contrattualizzazione della crisi, riconoscendo una centralità di ruolo all’imprenditore, in quanto interfaccia con i creditori, ma non conformava alcuno spazio negoziale propriamente detto.
La riforma introduceva una sorta di zona franca in cui, per effetto del c.d. automatic stay e quindi dell’ombrello protettivo di cui beneficiava l’imprenditore alla pubblicazione del ricorso Ex Art 161 c. 6 LF in registro imprese, era notoriamente consentito il c.d. “uso alternativo delle procedure concorsuali”. Da qui l’aumento esponenziale di piani orientati al conseguimento di percentuali a una cifra del c.d. “zero-virgola”, e l’utilizzo del concordato preventivo come strumento, non già, di superamento della crisi in chiave contrattuale privatistica, ma quale mezzo per consentire, comunque, la prosecuzione dell’attività, pur in presenza di una situazione di dissesto irreversibile.
Gli esiti di tale apertura negoziale furono ben diversi da quelli attesi, da qui l’iniziativa, di senso opposto, ispirata alla presa d’atto di non potere affidare all’imprenditore – in via contrattuale – la gestione della propria crisi. Intervento, questo, attuato con una sorta di controriforma del 2015 ( D.L. 27 giugno 2015, n. 83) che ha irrigidito i presupposti dell’istituto, senza introdurre alcun percorso stragiudiziale (ante domanda di concordato).
Nella novella del CCII si declinava poi un sistema, quello della composizione assistita della crisi, formalizzato, rigido e con forti tratti dirigisti nella fase di allerta esterna e interna.
Da tali richiami possiamo affermare che nel diritto concorsuale interno era del tutto assente uno spazio, un percorso, in cui potessero trovare voce e concretezza soluzioni consensuali dei conflitti.
Nella Direttiva (2019/1023) si apprezza il superamento dello schema dell’ineludibile ed obbligato controllo giurisdizionale della gestione della crisi/insolvenza ed una prima attribuzione della gestione riservata della crisi, affidata a professionisti in un’area privatistica in cui le parti possano e debbano sondare con lealtà e buona fede ogni possibile intervento di risanamento indagando e promuovendone il successo.
Sappiamo che la Direttiva non imponeva modelli di “procedure per la ristrutturazione” riconducibili o ad accordi o a concordati, indicando che il quadro di ristrutturazione preventiva può consistere in una o più procedure, misure o disposizioni, alcune delle quali possono realizzarsi anche in sede stragiudiziale, restando limitata, la partecipazione dell’autorità giudiziaria o amministrativa, soltanto ai casi in cui essa è indispensabile.
La ristrutturazione proposta è “a schema libero” così la Direttiva 2019/1023:
Art. 4
Par. 1 : «Gli Stati membri provvedono affinché, qualora sussista una probabilità di insolvenza, il debitore abbia accesso a un quadro di ristrutturazione preventiva che gli consenta la ristrutturazione, al fine di impedire l’insolvenza e di assicurare la loro sostenibilità economica, fatte salve altre soluzioni volte a evitare l’insolvenza, così da tutelare i posti di lavoro e preservare l’attività imprenditoriale».
Par. 5. : «Il quadro di ristrutturazione preventiva previsto dalla presente direttiva può consistere in una o più procedure, misure o disposizioni, alcune delle quali possono realizzarsi in sede extragiudiziale, fatti salvi altri eventuali quadri di ristrutturazione previsti dal diritto nazionale.
Gli Stati membri provvedono affinché i quadri di ristrutturazione conferiscano in modo coerente ai debitori e alle parti interessate i diritti e le garanzie di cui al presente titolo.
Par 6. : «Gli Stati membri possono prevedere disposizioni che limitino la partecipazione dell’autorità giudiziaria o amministrativa a un quadro di ristrutturazione preventiva ai casi in cui è necessaria e proporzionata, garantendo nel contempo la salvaguardia dei diritti delle parti interessate e dei pertinenti portatori di interessi».
Nella Direttiva vi è una specifica scelta espressa:
Art. 5
Par. 1. : «Gli Stati membri provvedono affinché il debitore che accede alle procedure di ristrutturazione preventiva mantenga il controllo totale o almeno parziale dei suoi attivi e della gestione corrente dell’impresa».
Par. 2. : «Ove occorra, la nomina da parte dell’autorità giudiziaria o amministrativa di un professionista nel campo della ristrutturazione è decisa caso per caso, eccetto in determinate situazioni in cui gli Stati membri possono richiedere sempre la nomina obbligatoria di tale professionista».
Nella chiara esclusione del necessitato intervento dell’autorità giudiziaria/amministrativa, in sede di nomina di un professionista, l’art. 5 par. 2, impone di prediligere percorsi rapidi, poco costosi, soluzioni stragiudiziali separate, altre, dalla sede pubblicistica.
In questo il legislatore Europeo suggerisce (rectius impone) una rinnovata cultura della crisi mediante strumenti meno onerosi, a vocazione stragiudiziale, di effettiva valorizzazione dell’elemento volontaristico, il tutto finalizzato alla continuità dell’impresa con il suo prezioso bagaglio (economico e latu sensu umano che non si esaurisce nel valore impresa in senso aziendalistico), ovvero, e, di contro, un rapido ed efficace ricorso alla liquidazione, indirizzata al discharge per un new fresh start.
Il controllo del giudice nella Direttiva che, come detto, predilige strumenti stragiudiziali o con limitato intervento del giudice, è correttamente imposto nella c.d. fase di omologa del quadro di ristrutturazione, ovvero, a tutela dei creditori dissenzienti (artt. 10 e 11).
La Direttiva, pur lasciando gli Stati membri liberi nella attuazione dello strumento, pone un deciso revirement rispetto al diritto dell’insolvenza, dotato quindi di sue proprie regole forzatamente divergenti con quelle che hanno tradizionalmente guidato la liquidazione concorsuale. Viene delineato uno schema attualizzato e rispondente alla realtà economica di “moderna” concezione della crisi d’impresa, che si focalizza sul rapporto impresa in crisi/parti interessate, piuttosto che quello debitore/creditori (cfr art. 2 c. 1 2) Direttiva 2019/1023).
La strategicità dello strumento stragiudiziale viene dichiarato nei primissimi considerando della Direttiva (cfr 4° considerando) “Esistono differenze tra gli Stati membri per quanto riguarda la gamma di procedure di cui possono avvalersi i debitori in difficoltà finanziarie per ristrutturare la loro attività. Alcuni Stati membri prevedono una gamma limitata di procedure che consentono di ristrutturare le imprese solo in una fase relativamente tardiva, nell’ambito delle procedure d’insolvenza. Altri invece permettono la ristrutturazione in una fase precoce ma le procedure disponibili sono meno efficaci di quanto potrebbero essere oppure sono molto formali; in particolare poiché limitato l’uso di metodi stragiudiziali. Le soluzioni preventive costituiscono una tendenza in crescita nelle legislazioni in materia di insolvenza. La tendenza favorisce metodi che, a differenza di quello classico che prevede la liquidazione di un’impresa in difficoltà finanziarie, puntano a risanarla o almeno a salvarne le unità che sono ancora sane. Tra gli altri benefici per l’economia, tale metodo spesso contribuisce a preservare posti di lavoro o a ridurre le perdite di posti di lavoro. Inoltre, ci sono differenze nel grado di partecipazione nei quadri di ristrutturazione preventiva delle autorità giudiziarie o amministrative o delle persone da esse nominate, che vanno da una partecipazione assente o minima, in alcuni Stati membri, alla piena partecipazione in altri. Analogamente, le norme nazionali che offrono una seconda opportunità agli imprenditori, segnatamente ammettendoli al beneficio dell’esdebitazione dai debiti contratti nel corso delle attività, variano tra gli Stati membri per quanto riguarda la durata dei termini per l’esdebitazione e le condizioni per l’ammissione al beneficio”.
Tale impronta degiurisdizionalizzante è venuta marcatamente a delinearsi nel nuovo CCII nel recepimento della miniriforma, assolutamente innovativa, per approccio e conformazione, “anticipata” lo scorso anno con DL 118/2021.
Il CCII, nel recepire il percorso di Composizione Negoziata della Crisi, innesta nuova linfa e consente una rilettura in chiave consensualistica/volontaristica della gestione della crisi/insolvenza reversibile, con un superamento dello schema dirigistico/autoritativo di vecchio stampo, ovvero alla visione dell’imprenditore e dei suoi professionisti come incapaci di gestire la crisi collocandolo ancora in quella stanza di osservazione in cui i pregiudizi abbondano.
Nella sua definitiva stesura il codice della riforma supera, come da molti auspicato alla sua iniziale stesura, quel meccanismo burocratico e proceduralizzato della Composizione Assistita della Crisi, cadenzato in termini, soglie, adempimenti, sotto la scure sempre aleggiante di un intervento del PM nelle ipotesi di infruttuoso risanamento. La costruzione del procedimento gestito dagli OCRI si fondava, evidentemente, ancora sullo schema dell’imprenditore che non propone, che non è parte attiva del suo risanamento, in quanto debitore, che deve approntare soluzioni, estreme, in chiave difensiva e giustificatoria, al proprio stato di crisi/insolvenza, di cui si avverte preconizzato il dissesto. Tanto che la composizione Assistita e il sistema dell’allerta venivano avvertiti non tanto come strumenti a supporto del risanamento dell’impresa quanto, piuttosto, come una sorta di pre-fallimentare in sede amministrativa.
Il nuovo percorso di composizione negoziata introdotto con DL 118/2021, declinata ora nel corpo del CCII agli artt. 12 e ss, riconduce, invece, all’impresa, ai suoi protagonisti economici, il timone del risanamento e recupera le vere finalità dell’early warning; il contesto riservato, tratteggiato in chiave mediatoria/compositiva, coglie, finalmente, quella auspicata degiurisdizionalizzazione della gestione della crisi, a più riprese invocata, quando non suggerita, negli standard elaborati da Organismi internazionali – quali il Financial Stability Forum, Uncitral, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale.
Concludendo, è il caso di ricordare che tale spinta, che rappresenta una nuova frontiera anche per i professionisti della crisi, fosse già stata acutamente e dottamente tratteggiata nel ns diritto interno. Della centralità delle soluzioni stragiudiziali si era fatta portatrice, nella vigenza del RD 267/1942, la giurisprudenza interna in particolare la Corte di Cassazione (Sentenza n. 9087/2018 Sez. I Rel Vella) che ha con grande efficacia disegnato la concorsualità come “ una serie di cerchi concentrici, caratterizzati dal progressivo aumento dell’autonomia delle parti man mano che ci si allontana dal nucleo (la procedura fallimentare) fino all’orbita più esterna (gli accordi di ristrutturazione dei debiti), passando attraverso le altre procedure di livello intermedio, quali la liquidazione degli imprenditori non fallibili, le amministrazioni straordinarie, le liquidazioni coatte amministrative, il concordato fallimentare, il concordato preventivo, gli accordi di composizione della crisi da sovraindebitamento degli imprenditori non fallibili, gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e le convenzioni di moratoria (con la precisazione che l’art. 5, comma 1, lett. a) della legge-delega n. 155/17, per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, intende estendere queste ultime “procedure” anche a creditori diversi da banche e intermediari finanziari). Restano invece all’esterno di questo perimetro immaginario solo gli atti interni di autonoma ri-organizzazione dell’impresa, come i piani attestati di risanamento, e gli accordi di natura esclusivamente stragiudiziale, che non richiedono nemmeno un intervento giudiziale di tipo meramente omologatorio”.
Nella richiamata sentenza viene così chiaramente delineato un nuovo corso del diritto della crisi e il superamento di quanto pareva insuperabile, così testualmente:
“Può dunque ben dirsi che il corso delle riforme, tanto a livello nazionale quanto a livello sovranazionale, abbia reso anacronistico l’approccio tradizionale che individua come profili qualificanti – e quindi indefettibili – della concorsualità elementi quali il costante coinvolgimento del giudice sin dall’inizio della procedura, la previsione di una fase preventiva di ammissione, lo spossessamento totale o attenuato del debitore, la presenza di organi di nomina giudiziale, l’universalità oggettiva e soggettiva della procedura ed il tendenziale rispetto della par condicio creditorum (cui è andato invero progressivamente sostituendosi l’obbiettivo del miglior soddisfacimento possibile dei creditori)”.
Viene da sé che il successo di tale nuovo corso presuppone una nuova consapevolezza da parte di tutti gli interpreti; un cambio di passo e approccio, anche del ceto creditorio, ed in particolare del mondo bancario/finanziario, da cui il risanamento non può prescindere, in aderenza con i nuovi doveri imposti, in particolare dall’art. 16 c. 5 del CCII (“Le banche e gli intermediari finanziari, i loro mandatari e i cessionari dei loro crediti sono tenuti a partecipare alle trattative in modo attivo e informato”).
Un nuovo atteggiamento culturale è richiesto per dare concretezza al superamento della vetero visione della crisi/insolvenza come sinonimo di colpa, altro caposaldo della riforma che ha espunto la parola fallimento e derivati; scelta lessicale densa di contenuto e non di mero stile, che dovrà sostenere l’interprete nella rilettura della nuova concorsualità.
a cura dell’avv. Barbara Chianelli